Jane Davis;I primi giorni in una nuova scuola possono essere, a seconda dei punti di vista e di come voglia la sorte, i migliori o i peggiori. Per quelli che, come me, vorrebbero solo essere lasciati nella propria bolla, senza alcuna interferenza esterna, il fatto di non conoscere nessuno può solo che essere un elemento positivo. Ma, come già detto, esiste la sorte - anche detto fato, caso, destino, o comunque vogliate chiamarlo - che, indipendentemente dalla nostra volontà, ci guida verso una strada precisa. Per questo, nonostante quel primo giorno di prospettasse fantasticamente solitario e lontano dal mondo, non ero affatto sicura di come i fatti si sarebbero evoluti.
Non tutto, però, dipende dal destino. Ci troviamo continuamente davanti a bivi, e spetta solo a noi decidere quale strada percorrere. Decisi quindi di rintanarmi nella biblioteca, anche per via del maltempo, e godermi tutto il tempo possibile in quel luogo che di solito era semi deserto. Aprii la porta scura e massiccia, che si mosse accompagnata da un sinistro cigolio. Sbirciai all'interno, confermando che erano pochi i ragazzi a frequentarla, ed entrai definitivamente. Non era un luogo particolarmente elegante o sofisticato, ma neanche squallido. Dal mio punto di vista, bastava l'atmosfera creata dal legno ed i libri a renderlo speciale. La polvere donava ad ogni cosa un aspetto antico e leggermente cupo, caratteristica accentuata dalla luce grigia della pioggia che entrava dalle finestre serrate. feci un passo verso il primo scaffale, e fu in quel momento che lo sentii.
Dolore. Un dolore sincero, immane. Qualcuno soffriva. Quelle emozioni che già facevano parte di me ogni giorno, mi invasero rendendomi partecipe a quel dolore. Sentivo la mancanza di qualcuno, mi sentivo sola, percepivo le tenebre avanzare sempre più velocemente verso di me, mentre io, immobile, non avevo né forza per combattere, né per scappare. Feci un respiro profondo, mente gli occhi si riempivano di lacrime, annaspando alla ricerca di aria, tanto mi aveva presa alla sprovvista quell'ondata di sofferenza.
Questa non sono io, questa non sono io, questa non sono io.
Quando succedevano cose del genere lo ripetevo all'infinito nella mia testa, cercando di riprendere il controllo e di allontanare da me quelle emozioni che non mi appartenevano. Portai una mano sulle guancia in cui una lacrima era scappata via dagli occhi, per asciugare quella goccia salata che correva velocemente giù per il mio viso.
Alzai lo sguardo dal pavimento, individuando in poco più di un secondo la fonte di tanto dolore. Una ragazza, sola in uno dei tavoli, piangeva tenendo in mano un libro. Non ero sicura che stesse davvero leggendo. Non volevo avvicinarmi, non volevo aggiungere altre pene alle mie. Ma quel dolore era talmente simile a quello provato da me stessa, che non potevo semplicemente voltarmi ed andarmene. Mi concentrai, mentre cercavo distrattamente un libro, e pensai alla calma, alla tranquillità, alla pace interiore. Proiettai quei pensieri dove desideravo, come ero ormai abituata a fare. Non potevo certo infonderle felicità, ma cercai subito di calmare la ragazza bionda. Trovai Ragione e Sentimento e lo afferrai mentre andavo a sedermi davanti a lei, sperando che la vicinanza le infondesse maggiore calma.