enjoy the silence

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cigarette'
view post Posted on 27/4/2010, 17:59








JulietSparks; «Umana;»


Pioveva a dirotto, da quello che potevo sentire, rinchiusa nella biblioteca della scuola. Non avevo voglia di passare un pomeriggio con delle persone che non conoscevo affatto, e con le quali avrei dovuto sorridere per tutto il tempo, fingendo che andasse tutto bene. Quella non ero io, non ero mai stata così. Il mio tempo libero lo trascorrevo perennemente nella biblioteca, in cerca di qualche vecchio libro da poter rileggere nel silenzio più assoluto. Ed è quello che feci. Finalmente trovai quello che stavo cercando, Sogno di una notte di mezza estate – William Shakespeare - l’avevo letto almeno diciassette volte in un solo mese, e una diciottesima non mi avrebbe fatto alcun male. Iniziai a sfogliare la prima pagina, cercando di soffiare via la polvere formatasi. Gli anni passavano anche per i libri migliori, ma erano sempre belli e sembravano non morire mai. Proseguii la lettura, cercando di concentrarmi solo sui personaggi, evitando di pensare a mia madre. Ma inevitabilmente una lacrima iniziò a rigarmi il viso, poi due, poi tre.. La voragine di dolore stava iniziando a diventare sempre più grossa. Mamma, mi manchi. Mi manchi, ti voglio bene. Imperterrita andai avanti a leggere, sempre più in fretta, pensando che anche i miei problemi prima o poi non avrebbero tenuto più il passo, e sarebbero svaniti. Presi la tazza di caffè che avevo lasciato sul pavimento e iniziai a sorseggiarne un po’, sentendo l’aroma del caffè invadermi il palato. Potevo chiedere compagnia migliore?


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citazione: Anberlin


Edited by cigarette' - 27/4/2010, 22:40
 
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skìns;
view post Posted on 28/4/2010, 14:25




Jane Davis;

I primi giorni in una nuova scuola possono essere, a seconda dei punti di vista e di come voglia la sorte, i migliori o i peggiori. Per quelli che, come me, vorrebbero solo essere lasciati nella propria bolla, senza alcuna interferenza esterna, il fatto di non conoscere nessuno può solo che essere un elemento positivo. Ma, come già detto, esiste la sorte - anche detto fato, caso, destino, o comunque vogliate chiamarlo - che, indipendentemente dalla nostra volontà, ci guida verso una strada precisa. Per questo, nonostante quel primo giorno di prospettasse fantasticamente solitario e lontano dal mondo, non ero affatto sicura di come i fatti si sarebbero evoluti.
Non tutto, però, dipende dal destino. Ci troviamo continuamente davanti a bivi, e spetta solo a noi decidere quale strada percorrere. Decisi quindi di rintanarmi nella biblioteca, anche per via del maltempo, e godermi tutto il tempo possibile in quel luogo che di solito era semi deserto. Aprii la porta scura e massiccia, che si mosse accompagnata da un sinistro cigolio. Sbirciai all'interno, confermando che erano pochi i ragazzi a frequentarla, ed entrai definitivamente. Non era un luogo particolarmente elegante o sofisticato, ma neanche squallido. Dal mio punto di vista, bastava l'atmosfera creata dal legno ed i libri a renderlo speciale. La polvere donava ad ogni cosa un aspetto antico e leggermente cupo, caratteristica accentuata dalla luce grigia della pioggia che entrava dalle finestre serrate. feci un passo verso il primo scaffale, e fu in quel momento che lo sentii.
Dolore. Un dolore sincero, immane. Qualcuno soffriva. Quelle emozioni che già facevano parte di me ogni giorno, mi invasero rendendomi partecipe a quel dolore. Sentivo la mancanza di qualcuno, mi sentivo sola, percepivo le tenebre avanzare sempre più velocemente verso di me, mentre io, immobile, non avevo né forza per combattere, né per scappare. Feci un respiro profondo, mente gli occhi si riempivano di lacrime, annaspando alla ricerca di aria, tanto mi aveva presa alla sprovvista quell'ondata di sofferenza.
Questa non sono io, questa non sono io, questa non sono io.
Quando succedevano cose del genere lo ripetevo all'infinito nella mia testa, cercando di riprendere il controllo e di allontanare da me quelle emozioni che non mi appartenevano. Portai una mano sulle guancia in cui una lacrima era scappata via dagli occhi, per asciugare quella goccia salata che correva velocemente giù per il mio viso.
Alzai lo sguardo dal pavimento, individuando in poco più di un secondo la fonte di tanto dolore. Una ragazza, sola in uno dei tavoli, piangeva tenendo in mano un libro. Non ero sicura che stesse davvero leggendo. Non volevo avvicinarmi, non volevo aggiungere altre pene alle mie. Ma quel dolore era talmente simile a quello provato da me stessa, che non potevo semplicemente voltarmi ed andarmene. Mi concentrai, mentre cercavo distrattamente un libro, e pensai alla calma, alla tranquillità, alla pace interiore. Proiettai quei pensieri dove desideravo, come ero ormai abituata a fare. Non potevo certo infonderle felicità, ma cercai subito di calmare la ragazza bionda. Trovai Ragione e Sentimento e lo afferrai mentre andavo a sedermi davanti a lei, sperando che la vicinanza le infondesse maggiore calma.

 
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cigarette'
view post Posted on 28/4/2010, 19:17








JulietSparks; «Umana;»


Non riuscivo a smettere di pensare a lei, alla donna più importante di tutta la mia vita, colei che mi aveva abbandonata alla vita troppo velocemente. Come poteva avermi fatto una cosa simile? Lei non l'avrebbe mai permesso, mi sarebbe stata accanto, per sempre. Ma non aveva mantenuto la sua promessa, se n'era andata via. Io ero ancora viva, e sapevo benissimo di non meritarlo. Non riuscivo ad apprezzare le piccole cose, come solo lei era in grado di fare.
Il pianto non cessò. Avevo un buco nero che mi stava risucchiando l’anima, e non avevo le forze necessarie per poterlo combattere. Semplicemente non ne avevo voglia, avevo perso tutta la vitalità che avevo in ogni cellula del mio corpo, dopo l’incidente. Dalla tasca dei jeans presi un fazzoletto, e cercai di asciugarmi quelle lacrime indelebili, poi all’improvviso mi sentii molto meglio. Ero come..tranquilla. Com’era possibile? Fino a qualche minuto fa il mondo mi stava crollando addosso, e ora non provavo alcuna emozione, a parte la tranquillità. Sorpresa mi guardai attorno, cercando di capire cosa fosse successo realmente, ma non trovai nulla – se non una ragazza alta, dai capelli rossi, che mi stava fissando. Volevo alzarmi e chiederle delle spiegazioni, anche se non aveva alcun senso visto che non poteva essere lei la causa del mio cambiamento d'umore, così continuai a leggere il mio amato Shakespeare. E tutto sembrò andare per il verso giusto, almeno per un minuto. La voragine, per ora, era scomparsa, lasciando un solo un buco vuoto nel mio cuore. Ciao, mamma.


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skìns;
view post Posted on 29/4/2010, 14:50




Jane Davis;

Guardavo ogni tanto le pagine del libro, ma cercavo più che altro di osservare la piccola ragazza bionda davanti a me. Non che mi servisse guardarle il viso per intuirne le reazioni, ma cercavo sempre di comportarmi nel modo più normale possibile. Perché? Ah, questo non lo so nemmeno io, non chiedete.
Percepii che la mia influenza la stava nettamente tranquillizzando. Okay, forse troppo nettamente. Sentii lo stupore, la confusione e l'incredulità farsi strada nel suo animo, e riuscivo a visualizzare, al posto del buio totale di poco prima, un insieme indefinito di colori, chiaramente visibile solo a me. Succedeva sempre così. Oltre a sentire dentro di me le emozioni altrui, i miei occhi le percepivano come colori, che con il tempo avevo imparato a riconoscere. Per questo la mia vita poteva definirsi fin troppo colorata. E non in senso positivo.
Alzai di nuovo lo sguardo dal romanzo, proprio mentre lei ricominciava a leggere il proprio libro, senza essere abbandonata da quella confusione e da quella finta tranquillità. Mi concentrai di meno, rendendo le sensazioni che le arrivavano da me più naturali, e anche meno intense, certamente. Non consideravo giusto intromettermi nell'animo altrui. L'avevo sempre odiato. Ma non potevo fare a meno di vedere quei colori, e non riuscivo poi ad ignorarli. Chi mi dava il diritto di illuderla? Chi mi dava il diritto di toglierle il suo dolore, anche se momentaneamente? Assolutamente nessuno. Certo, i miei gesti erano a fin di bene, ma non potevo sapere cosa ne pensassero le mie "vittime". Ovviamente, sapevo di non poter svelare a nessuno il mio segreto. Non l'avevo fatto in passato, e non l'avrei fatto proprio quando mi era stato espressamente vietato dalle regole della Mystical school.
Diminuii ancora il flusso di tranquillità, lasciando trapelare solo un sottofondo di pace, che avrebbe reso la ragazza più lucida, e le avrebbe ricordato il proprio dolore, ma senza la disperazione che avevo letto in lei poco prima. Diedi un veloce sguardo al suo libro. Shakespeare. Aveva cervello, da quanto vedevo. Le sue guance erano ancora bagnate, anche se le lacrime avevano smesso di rigarle il viso. Aprii la borsa silenziosamente, prendendo un fazzoletto pulito di carta. Senza una parola, lo misi sul tavolo, in un punto in cui i suoi occhi azzurri avrebbero dovuto per forza vederlo.

 
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cigarette'
view post Posted on 1/5/2010, 11:23








JulietSparks; «Umana;»


Shakespeare riuscì - se per qualche minuto - a rendermi ancora più tranquilla. Con il fazzoletto asciugai velocemente le lacrime che stavano bagnandomi il viso e lo riposi nella tasca dei jeans. In quel momento volevo sentirmi felice come Ermia, appena incrociava i suoi occhi con l'amato Lisandro, niente aveva più senso, niente era più bello e intenso come il loro amore. Con quanta passione si amavano quei due giovani? Come avrebbero fatto a vivere se non si fossero mai conosciuti? Avevo ancora tante altre domande che mi passavano per la mente, ma poche risposte.
Posai sul pavimento la commedia, e iniziai a respirare profondamente, cercando di buttare fuori tutta l'ansia che improvvisamente mi invase il corpo e la mente. La tranquillità che aleggiava fino a pochi minuti fa, sparì del tutto. L'ansia era ritornata, ma questa volta non era così spaventosa come prima. Ero confusa, stordita. Cosa stava accadendo? La testa iniziò a girarmi come un vortice di confusione, così mi sdraiai per terra, in cerca della pace di poco prima. Cercai di liberare la mente, e così feci. I ricordi della mamma, di quella strana sensazione di prima, ci misero un pò a sparire. Il battito ritornò regolare, e l'ansia iniziò a diminuire. Era solo questione di qualche secondo e tutto sarebbe ritornato alla normalità. Lentamente mi rialzai e poggiai la testa sullo scaffale dei libri. Notai anche che la ragazza che poco prima mi stava fissando aveva lasciato un fazzoletto sul tavolo. Le facevo pena? La guardai per qualche secondo, e capii dal suo sguardo che lo stava facendo solo per essere gentile. Grazie, davvero - cercai di abbozzare un sorriso finto, e presi il fazzoletto.


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skìns;
view post Posted on 2/5/2010, 18:25




Jane Davis;

Portai la mia attenzione al libro che avevo tra le mani. La copertina di cartone spesso era ruvida e impolverata, e lentamente, accarezzai quelle vecchie pagine. Lo facevo sempre, prima di cominciare a leggere. Era per me una sorta di rimpiazzo al contatto con le persone. Mi avvicinavo a loro, infatti, il meno possibile, intimorita dalla confusione che suscitavano in me. I libri erano porti sicuri. Proprio come la fotografia. potevo avvicinarmi alle persone più attraverso le foto e i libri che con la vita reale. Ho sempre odiato tutto ciò, ma bisogna prendere la vita come ci viene e fare il possibile per vederne gli aspetti positivi. Ma, nelle situazioni difficili, non sono assolutamente in grado di farlo. Come quando mia madre è morta. Non vedevo niente di positivo nella vita. Non c'era nulla che potesse essere anche solo lontanamente considerato bello. Nonostante gli anni passati, la ferita era ancora aperta, e sanguinava inesorabilmente. Se davvero esiste un dio, perché mi ha fatto questo? Perché lo ha fatto a lei?
In momenti come questi, avrei voluto sapermi tranquillizzare da sola, sapermi illudere con un finto senso di pace, piuttosto che pensare. Ma so di non esserne in grado. Tornai così a pensare alla ragazza davanti a me, afflitta da chissà cosa. Alzai lo sguardo, notando solo in quel momento che si era sdraiata a terra. Percepii la confusione nella sua testa e nel suo animo, sentendomene per qualche secondo partecipe. Probabilmente, avrei percepito il suo stato anche senza le mie capacità. Le si leggeva negli occhi. Sia il dolore che la confusione, era percepibile attraverso quelle iridi azzurre, e l'espressione del viso. Poggiò la testa ad uno degli scaffali colmi di tomi impolverati, mentre il suo sguardo si soffermava sul fazzoletto che avevo lasciato per lei sul tavolo. Percepii una sorta di debole gratitudine, prima ancora di sentire il suo ringraziamento verbale. Ma il breve sorriso che l'accompagnò, non aveva molto di sincero. «Di niente.» Mormorai in risposta, continuando a guardarla. «E mi spiace.» Aggiunsi poco dopo, con un'espressione totalmente sincera, per poi abbassare lo sguardo sul libro, che ancora non ero riuscita a leggere.

 
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cigarette'
view post Posted on 9/5/2010, 10:25








JulietSparks; «Umana;»


Dopo aver ringraziato la ragazza, come era da buona educazione, ripresi il libro del mio adorato Shakespeare, e ricominciai a rileggerlo, dal punto in cui mi ero soffermata pochi minuti prima.
Tutto era ritornata come prima, forse. Guardai la ragazza dai capelli rossi, e bastò solo qualche secondo per sentirmi in colpa. Le avevo risposto gentilmente, ma ero più che convinta che i miei occhi stavano dicendo un'altra cosa. Volevo abbracciarla, e dirle che era stata molto dolce con me, che nessuno - in quella biblioteca, dopo avermi visto piangere - aveva cercato di aiutarmi, come aveva fatto lei. Sta di fatto che non lo feci, più per la mia timidezza che per altro. Dopo la morte di mia madre, per me era difficile relazionarmi con altra gente, e questo non mi aiutava più di quel tanto. Certo, a volte era una cosa positiva perchè avevo molto più tempo libero da dedicare a me stessa, ai miei libri, e la fotografia in generale. Ma era questo, che volevo veramente? Volevo vivere per sempre, in solitudine con i vecchi classici di Shakespeare e di Wilde?
Presi un pò di coraggio e mi avvicinai lentamente alla ragazza che mi aveva prestato un fazzoletto «Scusa, per prima. Non volevo essere maleducata» le dissi, cercando di sorridere, e di sembrare sincera. «Mi chiamo Juliet, comunque» allungai la mano, per potergliela stringere. Mi avrebbe perdonata? Saremmo diventate amiche? Ora la palla, era nelle sue mani.


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skìns;
view post Posted on 12/5/2010, 17:36




Jane Davis;

La ragazza ricominciò a leggere, comportandosi come nulla fosse successo. O almeno provò a farlo. Passarono infatti solo pochi secondi e già mi stava guardando di nuovo. Se volevo passare inosservata, vivere come se facessi parte solo di uno sfondo, intromettermi nelle emozioni degli altri non era il modo migliore. Ma non era così semplice trattenersi. Non era facile sentire qualcuno soffrire tanto intensamente - e provare quel dolore - e proseguire egoisticamente la propria vita.
Avvertii, mentre mi guardava, una sorta di senso di colpa provenire dalla sua direzione. Non capivo da cosa fosse dovuto, però. Forse aveva a che fare con il motivo che l'aveva spinta a piangere? No, non era un sentimento tanto profondo. Restò pensierosa per qualche momento, come se stesse riflettendo sul da farsi. Poi, si avvicinò a me, cercando di rendere il più convincente possibile il proprio sorriso. Le sue parole vennero per rispondere alla domanda che poco prima mi ero posta. Il suo senso di colpa era dovuto al modo in cui mi aveva trattata. Per me non c'era stato nulla di offensivo, o sgarbato. Mi sembrava normale non mettersi a ridere e scherzare con la prima persona che capita a tiro, nelle sue condizioni. ma apprezzai il suo gesto, e risposi anche io con un sorriso. «Non devi scusarti nulla.» Anzi, forse avrei dovuto scusarmi io, ma probabilmente non avrei fatto una buona impressione uscendomene con una frase del tipo: "Hei, scusa se ho manipolato senza permesso le tue emozioni." Notai con sorpresa che aveva allungato una mano verso di me presentandosi. Juliet. Esitai un secondo prima di afferrarle la mano. Lo facevo sempre prima di toccare qualcuno. Non perché mi desse fastidio il contatto in sé, ma per quello che mi faceva provare. Le emozioni venivano triplicate, i sentimenti più profondi provati nella vita di chi toccavo mi si rivelavano contemporaneamente, ed era davvero troppo per me. Questo non succedeva sempre, ma mi ero sempre chiesta da cosa dipendesse. Feci un respiro profondo, cercando di non farmi notare, e poi le afferrai la mano. C'era felicità, una vita serena, spensierata, interrotta senza pietà da quell'abisso di dolore che avevo poco provato poco prima. Faceva male: la nostalgia, la sofferenza, la gioia, l'amore, la solitudine, la timidezza, la rabbia si riversarono contemporaneamente dentro di me. Mi morsi un labbro, cercando di respirare più a fondo. E ritrassi, lentamente ma con fermezza la mano. Attesi qualche secondo, giusto il tempo in cui tutto si dissolvesse, e poi sorrisi debolmente. «Piacere, Jane.» Risposi poco dopo, riprendendo il tono, l'espressione e le sensazioni normali. Le mie. «Tutto okay?» Chiesi soltanto, gentilmente, per non sembrare indiscreta con domande troppo personali.



 
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cigarette'
view post Posted on 16/5/2010, 12:10








JulietSparks; «Umana;»


Ero nervosa, forse per la risposta che mi avrebbe dato la ragazza - di cui non conoscevo ancora il nome. Strinsi debolmente un lembo della camicia a quadri, e sospirai.
Improvvisamente la sala si fece più gelida, e il mio viso venne congelato da una fresca brezza, quando una ragazza uscì con passo veloce, dalla biblioteca. Eravamo rimaste solo io, e la giovane fanciulla dai capelli rossi. Ero in leggero imbarazzo perché non sapevo cos’altro aggiungere, se non aspettare con ansia una sua risposta.
Mi guardò per un attimo, e poi affermò di chiamarsi Jane. Una vampata di calore si mescolò al piacere che avevo provato non appena avevo scoperto il suo nome. La causa di tutto era Jane Austen, quella donna, che dopo la morte di Katherine, era riuscita, grazie ai suoi libri, a tirarmi su di morale nei momenti più difficili. Oltre a Shakespeare, ovviamente. Lui era un mito.
Mi girai verso la ragazza e lo sorrisi, ma questa volta con un sorriso vero, sentito. Forse mi avrebbe fatto bene parlare con qualcuno, dopo così tanto tempo. In fondo, cosa potevo perdere ancora? La mia vita era crollata già da tempo, e questo improvviso interessamento alla ragazza mi avrebbe potuto portare a uno stato un po’ meno pietoso. Magari. Ma non volevo illudermi, non ancora. Non ora. Distolsi lo sguardo dal suo, cercando di non ricominciare a piangere. Perché diavolo devi essere così emotiva, Juls? Mi imposi di smettere immediatamente ad auto-commiserarmi, non appena Jane mi rivolse la parola. Evidentemente si stava preoccupando per me, ma non volevo incasinarle la vita. Non glielo avrei permesso.
«Sì, grazie. Anche per prima, davvero» dissi, cercando di farle capire che era tutto sistemato. Frugai nella borsa in cerca di un fazzoletto, e dopo averlo trovato, glielo poggiai sulla gamba. «Questo te lo dovevo» risi alla mia inutile battuta, sparando che un giorno, la vecchia Juliet sarebbe ritornata felice e spensierata come una volta. Sì, potevo farcela, magari proprio con Jane. Sorrisi, al pensiero di quanto la mia immaginazione viaggiasse così velocemente.


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citazione: Anberlin
 
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skìns;
view post Posted on 20/5/2010, 14:53




Jane Davis;

Vidi un sorriso sul suo volto, ancora. Ma c'era una differenza, in confronto a quelli di circostanza che aveva mostrato poco prima. Questo sorriso, era sincero ed era arrivato a contagiare anche gli occhi. Non era scomparso prima di raggiungerli, non era svanito con un battito di ciglia. Il suo animo era confuso e indeciso. C'era una strana sorta di debolezza in lei, che la portava ad essere un secondo speranzosa e quello dopo di nuovo chiusa nel proprio dolore. Un secondo sorridente e quello dopo impegnata a combattere per opprimere quelle lacrime simbolo della propria sofferenza.
Rispose che andava tutto bene. Magari in parte era sincera. Magari davvero in quel momento stava bene, in confronto a come di solito di sentiva. «Figurati» Mormorai in risposta ai suoi "grazie" accompagnando le mie parole con un sorriso rassicurante. La vidi intanto cercare qualcosa nella sua borsa, quindi distolsi lo sguardo, tornando a guardare quegli scaffali colmi che ormai erano i nostri unici compagni, in quella stanza. Tornai a guardarla solo quando sentii un leggero tocco sulla gamba, seguito da altre parole di Juliet. Un fazzoletto, che aveva delicatamente poggiato sulla mia gamba. La sua risata era segno di aver messo una sorta di ironia in quel gesto, e risi a mia volta, prendendo il piccolo pezzo di carta candido tra le mani. «Oh, sì. Stavo giusto per chiedertelo indietro. » Scherzai con altrettanta ironia. La guardai ancora sorridendo notando che anche lei faceva lo stesso. «Non si dimentica mai. E il dolore non passa. Ma questo non vuol dire che dobbiamo smettere di vivere. Sono proprio questi piccoli gesti» Alzai un poco il fazzoletto che tenevo sulle gambe « e le minime cose a rendere il dolore più sopportabile.». Una frase arrivata all'improvviso, apparentemente senza un filo logico, ma ero sicura che Juliet avesse capito alla perfezione quello che cercavo di dirle. E anche se poteva non sembrare, era una frase di conforto, che sarebbe servita a darle coraggio, e nascondeva - se si sapeva leggere tra le righe - anche la mia stessa esperienza personale.
Tornare a farla pensare alle proprie sofferenze non era quello che volevo, quindi cercai di sviare il discorso - con uno squallido e banale tentativo- riprendendo a sorridere dolcemente. «Pensi che smetterà mai di piovere?» Ripresi, accennando alla finestra, dove le gocce di pioggia continuavano ad infrangersi sempre con maggiore intensità, senza sembrare avere nemmeno l'intenzione di smettere.


 
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cigarette'
view post Posted on 31/5/2010, 16:21




words like violence break the silence
Il rumore della pioggia che picchiettava sulla finestra riusciva a tranquillizzarmi.
Mi morsicchiai il labbro superiore, nella speranza di strappare via quella fastidiosa pellicina, ma invano. Jane rise alla mia battuta, e ne fui felice. Con lei riuscivo a stare molto più calma, ed era una cosa positiva, visto che stavo anche cercando di socializzare e sembrare una persona normale. Non era molto semplice, e di solito richiedeva un pò di sforzo, ma con lei era completamente diverso. In alcuni momenti riuscivo ad essere me stessa, ed ho avuto anche il coraggio di piangere di fronte ad un estraneo, senza dover scappare via per l'imbarazzo e la vergogna.
La guardai quando iniziò a parlare. Stava cercando di aiutarmi, e le ero molto grata anche per questo. Da quello che mi disse, ebbi la strana sensazione che anche lei era passata in un periodo buio come il mio, ed improvvisamente ebbi l'impulso di avvicinarmi ed abbracciarla. Questa volta lo feci, e non me ne pentii affatto.
«Grazie» sussurrai, la mia voce era roca, e la gola pizzicava. Avevo pianto un pò troppo.
Dopo qualche minuto decisi che era ora di staccarsi dall'abbraccio per evitare di soffocarla, ma il sorriso stampato sulle mie labbra poteva anche continuare. Mi sentivo stupida, ma non mi importava più di tanto. Il peggio era passato solo grazie a Jane.
«Ehi, non offendere la signora Pioggia» la mia risatina risultava più un ghigno, ma con il tempo mi ci sarei abituata. Era strano sentire la mia risata rieccheggiare all'interno della bibliotaca semi-deserta - visto che non lo facevo praticamente da anni.
Non ricordavo fosse una così bella sensazione.
Grazie Jane. Era strano ammetterlo ma in fondo, le volevo già bene.

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per l'icon ringrazio nagisa; citazione: Anberlin
 
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skìns;
view post Posted on 4/6/2010, 17:07




Jane Davis;

Era più tranquilla. Oh, sì, lo era davvero. O almeno lo era in confronto a quando l'aveva vista piangere, sola, immersa nel proprio dolore. Che fosse opera mia? Bhè, era possibile. Probabile. Forse non proprio per me, ma per quello che sapevo fare. O magari era solo felice di sentirsi finalmente compresa, aiutata, felice di essersi sfogata. Ad ogni modo, percepivo chiaramente il suo stato d'animo più tranquillo, e la sua gratitudine. E in un secondo, senza che me ne rendessi conto, me la ritrovai tra le braccia, che mi ringraziava stringendomi con le sue braccia sottili. Rimasi immobile, sorpresa. Questa volta, il contatto con la sua pelle non causò nessun strano affetto -a parte, ovviamente, quello di sentire molto più chiaramente le sue emozioni - Non fu terribile come pensavo. Non era il dolore che prevaleva. Rilassai quindi le spalle, tirai un sospiro e ricambiai l'abbraccio, stringendola delicatamente. «E di che?» sussurrai, mentre le mie labbra si incurvavano in un sorriso.
Era strano. Non sentivo solo le sue sensazioni. C'era qualcos'altro, che mi stava trasmettendo. Una sorta di calore, all'altezza del petto, che mai nessuno prima era riuscito a farmi provare al primo incontro. «Cominciamo a diventare entrambe ripetitive, non trovi?» Ridacchiai mentre l'abbraccio si scioglieva, riferendomi ai suoi ripetuti "grazie" e ai miei "prego". Juliet continuava a sorridere, e mi sentii felice di essere riuscita a fare tanto, sempre se era opera mia. «Oh, non era esattamente un'offesa. Ma....sai? Il sole comincia a mancarmi.» Sì, sorridevo, ma ero anche seria. Sentivo la mancanza del sole, del suo calore e della sua luce. Guardai verso la finestra, immaginando i suoi raggi luminosi entrarne. Invece le gocce continuavano a schiaffeggiare il vetro. «Spero che la signora Pioggia non si offenda per questo.» Ridacchiai, voltandomi nuovamente verso di lei. Forse anche Juliet aveva qualche potere. Sì, doveva essere così. Altrimenti perché se da quel giorno non mi ero mai sentita a mio agio con nessuno eccetto papà, con lei ero me stessa?

 
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cigarette'
view post Posted on 10/6/2010, 17:26




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Stavo bene, ora. L'angoscia, l'ansia, la paura erano sparite grazie a Jane. Nessuno era mai riuscito ad alleviare il dolore che mi si formava ovunque - al solo pensiero della mamma - tranne lei. Posso definirla la mia eroina, pensai.
Sorrisi non appena disse che le mancava il sole, anche se non potevo biasimarla, visto che pioveva ogni santo giorno. La pioggia però, riusciva a tranquillizzarmi, come una specie di camomilla. Ero strana, sì. Anche mamma lo diceva sempre, anzi, lo dicevano più o meno tutti. Jane non mi aveva ancora dato della pazza, e le ero grata anche per questo motivo. Cercai il suo sguardo perchè riusciva ad infondermi calma e pace interiore.
«Scusa un attimo, arrivo subito» le dissi, così mi alzai e andai a prenotare qualche libro che avrei ritirato l'indomani. Il bibliotecario mi fece un grosso sorriso non appena arrivai al bancone, forse non aveva così tanti clienti - in effetti, c'eravamo solo io e Jane.
Ritornai all'ultimo corridoi dove interi scaffali erano ricoperti da grossi volumi di letteratura italiana ed inglese. Jane mi stava aspettando, in piedi, bellissima come solo lei sapeva esserlo.
«Vorresti andare da qualche altra parte?» chiesi, speranzosa. Non volevo andare a lezione, e non volevo lasciare lei perchè questo significava che avrei dovuto ricominciare tutto da zero.
La guardai, sperando il meglio.

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skìns;
view post Posted on 17/6/2010, 09:50




Jane Davis;

Quella sorta di pace interiore che avvertivo farsi strada in Juliet si stava facendo più solida, a mano a mano che i secondi passavano. Ero felice per lei, molto, nonostante la conoscessi da...quanto? Minuti, ore? Sì, avevo qualche problema con il tempo. Chissà lei, a cosa attribuiva tanta serenità. In quel momento la vedi alzarsi e scusarsi. Si avvicinò al bancone, parlando con il sorridente bibliotecario. Passarono pochi secondi ed eccola tornare verso di me. Mi alzai, sorridendole mentre tornava. Da quanto avevo capito stava per andare, quindi riposi il libro che avevo preso appena entrata in biblioteca, e che a malapena ero riuscita ad iniziare. Non mi dispiaceva, però, la distrazione che avevo avuto.
E mentre mi rivoltavo verso di lei, avvertii un'altra, seppur flebile emozione. Era come...speranza. Ma in una strana sfumatura che non riuscivo a decifrare. Nascosi le mani nelle maniche troppo lunghe della larga maglietta che portavo. Quasi sempre ero così. Magliette e vestiti che coprivano il più possibile il mio busto, e poi libero arbitrio alle gambe in bella mostra. Era stupido, lo sapevo, ma mi sembravano una parte secondaria del mio corpo ( nonostante, forse, fossero anche la parte più bella ) a differenza del torace, che tenevo ben protetto. Poi sentii la sua proposta e sorrisi. Perché no? Dopotutto non avevo molto da fare, ed era piacevole trovarsi in compagnia di Juliet. Magari saremmo anche diventate amiche. «Sì, mi farebbe piacere. Hai qualche posto in particolare?» Speravo in un sì, non conoscendo ancora bene il posto. Le sorrisi un altra volta. Era naturale sorridere, con lei.



 
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cigarette'
view post Posted on 17/6/2010, 18:25




words like violence break the silence
Ero raggiante quando mi disse che per lei andava bene. Non riuscivo ancora a capire come mai mi fossi affezionata subito a lei, ma non importava, ora mi sentivo normale. Per una volta nella vita, mi sentivo la vecchia simpatica Juliet Sparks.
Era bello sentirsi di nuovo sè stessi, anche se fosse durato per un minuto, ma avrei fatto di tutto per cercare di uccidere il dolore insopportabile che provavo non appena pensavo a mia madre.
Guardai l'orologio che lei stessa mi aveva regalato non appena aveva scoperto la malattia, era l'una passata e il mio stomaco reclamava vendetta, stavo per morire di fame, e le gambe iniziavano a tremare come accadeva spesso, visto che mi rifiutavo di ingurgitare persino un pezzo di pane. Mi sentivo grassa, anzi, lo ero.
«Se andassi a prenderci qualcosa da mangiare?» domandai, non appena sentii il mio stomaco brontolare. Imbarazzata fissai il pavimento, fino a sentire le guance avvampare.
Subito dopo mi resi conto che forse Jane doveva andare a lezione - anche io avrei dovuto farlo, ma l'idea di stare seduta per due ore, con gente che non conoscevo nemmeno, non mi entusiasmava più di tanto e in più, facevo schifo in matematica. Alzai lo sguardo da terra e osservai Jane, i suoi occhi grigi mi stava fissando, e sperai con tutte le mie forze che avrebbe accettato l'invito.
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per l'icon ringrazio nagisa; citazione: Anberlin
 
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18 replies since 27/4/2010, 17:59   519 views
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