Il sole filtrava attraverso le vetrate del bar, stemperandosi in un colore più caldo e meno forte. Saranno state le cinque, più o meno, e Lisso aveva sentito il bisogno di bere un caffé. Gli inglesi avevano il thé delle cinque; lui il caffé, alla stessa ora. Di solito se lo faceva lui, ma visto che era fuori...
Un espresso caldo (si fa per dire, era avvezzo a ben altro... però il gestore del bar sotto casa sua, a Tessalonica, era napoletano: l'aveva abituato bene), l'astro prossimo al tramonta, una relativa quiete... molto ispirante, sì.
Molto.
Si sedette ad un tavolino un po' nascosto, pieno di luce e, tirato fuori il quaderno ad anelli che usava per scrivere appunti ed episodi dei suoi racconti (che poi, se gradiva, trascriveva in bella copia) e aveva cominciato a mettere su carta quello che aveva in mente.
L'unica particolarità era che stava scrivendo
in neogreco; una cosa del tutto normale per lui, certo... un po' meno per quelli che notavano per caso qualche carattere e assumevano un'espressione stranita (quasi nessuno studiava greco in America, quindi quasi nessuno sapeva riconoscerne i caratteri). Qualcuno addirittura fece un passettino verso di lui per poter sbirciare meglio.
Di tutto questo, però, lui non se ne accorgeva.
