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| Dwayne Hussain. e luce non fu. L'uomo gioisce nella colpa ed il suo Dio per il peccato s'attrista, pena, suda Sangue, fra terribili agonie di spirito. Ecco cosa gli ripeteva sua madre, una donna ossessionata dalla religione, ogni qualvolta egli osasse compiere un atto indegno di lui e inammissibile, in breve gli rompeva le palle per qualsiasi cazzata. E lui, cosa rispondeva? Non vorrei sconvolgervi, non vorrei sputare su Dio come fa lui. Eppure lui rispondeva con due semplici parole, ma d'effetto: cazzi suoi. Un ghigno, una scrollata di spalle e poi un cambio di direzione. Feticismo, venerare l'astratto. Lui non venerava nessuno. Non adorava nemmeno lo shopping, ma essendo a corto di vestiti dovette intraprendere quell'ardua impresa. Prese una quantità ragionevole di denaro - no, lui non sapeva gestire i suoi tanti soldi. Dunque noi useremmo esagerata, invece di ragionevole - e uscì. I pigri raggi solari mattutini illuminarono appena la sua figura distinta in movimento, così come illuminavano il paesaggio circostante immerso in quell'atmosfera giallastra, quasi pallida. Erano più o meno le nove, lui non adorava uscire tardi quando il sole è già alto in cielo. Percorse la stradina ai bordi della quale spuntavano negozi di ogni tipo, più o meno costosi. Si fermò ad osservare la vetrina di un negozio che sembrava promettere bene dall'esterno, quando accanto a sè trovò una ragazza intenta a fissare i capi d'abbigliamento aldilà della vetrina. Sul suo viso era dipinta un'espressione da ebete, sul viso di Dwayne si dipinse un'espressione sconcertata. Inarcò un sopracciglio, interrogativo. « Mh, sì. Quello sguardo di solito è tipico delle ragazze che mi spogliano con lo sguardo, le stesse che mi considerano troppo prezioso per essere, come dire.. Accessibile. » Annuì, come per confermare quanto appena detto. Presuntuoso? No, lo definirei consapevole del suo fascino. Un fascino misterioso e, soprattutto, innegabile.
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